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PIAZZETTA CHIESA DEL ROSARIO

I FUOCHI DI SAN GIOVANNI – 23 GIUGNO
Nel passato era una ricorrenza importante, attesa dai giovani soprattutto e dai vecchi legati alle tradizioni. Il luogo ove ci si riuniva era il piazzale della Chiesa del Rosario. Su questo ampio piazzale si accalcavano le famiglie che si radunavano in attesa del falò. Tutti avevano portato il loro contributo in legna per far più grande il fuoco che si accendeva in onore di San Giovanni.
Un’ enorme catasta di legna faceva bella mostra di sé in attesa di far parte viva del fuoco che si stava preparando tra l’allegria di grandi, giovani e piccini. Non mancavano i vecchi che avevano portato le sedie per sedersi e godersi lo spettacolo in prima fila. L immagine della Vergine dipinta sulla facciata della chiesa sembrava più luminosa e sorridente per quella festa annuale molto sentita da tutto il popolo.
Erano i giovani più intraprendenti a dare inizio alla preparazione della catasta di legna da bruciare per far sì che, al grido di “Viva San Giovanni”, le fiamme del fuoco si elevassero più alte possibile, arrossando e illuminando i volti degli spettatori presenti. C’era chi aggiungeva ceppi secchi al fuoco per incrementare le fiamme e generare così la brace necessaria a preparare il letto sul quale camminare, reso piano e quasi liscio dai fuochisti addetti a questa funzione. Tutti volevano toccare il fuoco, quasi fosse un rito propiziatorio o un gioco serio, da adulti esperti, intensamente coinvolti, e pronti a preparare questo letto di brace, dopo il consumo della legna, una parte della quale lasciata ad un lato del falò ancora vivo e acceso per illuminare i volti e la scena del rito. Vi regnava una magnifica confusione, un “va e vieni” tra involontarie spinte per guadagnare i primi posti, per prenotarsi a passare, per farsi coraggio a vicenda poichè , nel cuore soprattutto dei più giovani, regnavano il timore e l’indecisione. I più spavaldi andavano avanti e indietro. Aggiustavano le braci col bastone preso in prestito dai fuochisti, per darsi un contegno ed assumere l’espressione decisa e pronta per quel passaggio, scalzi sui carboni ardenti,
soprattutto se c’era, nel gruppo dei presenti, la loro ragazza. Quando il letto di brace era pronto e il capo anziano dei fuochisti dava il via, cominciava veloce il passaggio dei giovani al grido di “Viva San Giovanni” e, a protezione, il segno della Croce. Ogni coraggioso che passava, affermava di non essersi scottato i piedi e voleva rifare il percorso nuovamente, eccitato dalle grida di incoraggiamento degli amici che si accingevano con entusiasmo a seguirlo nell’impresa. Alle grida di incoraggiamento seguiva un silenzio profondo, mentre il giovane audace passava, per non distrarlo prima e per scoppiare, poi, in applausi e grida di gioia fino alla fine del percorso effettuato.
I fuochisti erano sempre pronti con i loro rastrelli a colmare le orme lasciate dai piedi dell’ultimo coraggioso, perché il letto di brace non presentasse buche pericolose per chi si accingeva al passaggio. Il piazzale davanti la chiesa brulicava di gente; la Madonnina sulla facciata era illuminata e sorridente. I vecchi che avevano, per anni, partecipato al rito con entusiasmo, stavano, ora, di lato e assistevano , rivivendo una seconda gioventù,
guardando con entusiasmo i nuovi giovani. Si andava avanti per ore, ravvivando la brace che formava il letto su cui passare, con l’apporto di altri carboni ardenti prelevati dal falò che continuava ad ardere di alto, che faceva danzare sul muro della Chiesa ombre grandi e piccole tremolanti in una luce surreale.

I giovani fidanzati si cercavano dopo il rito, incapaci di esprimere le sensazioni provate, di comunicarsi l’un l’altro la magia di quell’evento, vecchio o nuovo che fosse per ciascuno. La catasta ora emetteva poche fiamm ; la legna era pressoché finita: rimanevano le braci irradianti calore ma poca luce. A poco a poco, ubriachi di euforia e stanchi quasi di una magica realtà vissuta, con i cuori caldi di sentimenti, giovani e vecchi lasciavano il piazzale che, a poco a poco, diventava deserto.

CHIESA DEL ROSARIO
La Chiesa del Rosario è l’edificio sacro più antico del paese, è situata nei pressi del castello baronale appartenuto ai Bisignano. La facciata principale rispecchia uno stile classico, ha un portale lapideo, rettangolare, affiancato da una doppia coppia di lesene che sorreggono una trabeazione aggettante, termina con un timpano e un frontone entralmente decorato con fregi in gesso. Il portale che risale al XVIII sec. è opera di scalpellini locali, così come le colonnine laterali che culminano con foglie intagliate. Sopra l’architrave d’ingresso troneggia un mosaico della Madonna col Bambino. L’interno è affrescato graziosamente nei toni del bianco, rosa e oro ed ha un’ unica navata. La zona dell’abside è separata dal presbiterio con un ampio arco trionfale, sorretto da piedritti fastosi ornati da capitelli decorativi e cornici aggettanti. L’altare maggiore, realizzato in marmo policromo, risale al 1890. Poggia sulla parete absidale affrescata con putti e fiori, ed è sormontato da una nicchia in cui è posta una statua della Vergine del SS.mo Rosario. All’interno troviamo un’ù acquasantiera lapidea scolpita a conchiglia del XIX sec. e i quadri della Madonna di Pompei e del Sacro Cuore di Gesù.

Fonti scritte : “Studi e ricerche su Maria SS.ma della Consolazione, in corso di stampa a cura della Parrocchia Natività di Beata Maria Vergine” Il SECOLO XVIII Il settecento dovette essere un secolo di relativa prosperità per il paese, che vide quasi raddoppiare la popolazione, passando dai circa 1.500 abitanti del 1736 agli oltre 2.500 alla fine del secolo. La ragione dell’aumentato benessere si può ricondurre al fatto che il piccolo centro stava divenendo una “terra di passaggio”, poiché situato lungo la strada che conduceva in Calabria, condizione che di certofavoriva il commercio con le terre vicine. Intorno alla metà del XVIII secolo, il nucleo
antico del paese (che contornava i ruderi del castello e l’antica Chiesa Madre)
cominciò ad essere abbandonato in coincidenza con la costruzione della nuova
chiesa, alla quale fu trasferito il titolo della parrocchia antica (Chiesa Madre).
L’ubicazione della Chiesa settecentesca a sud dell’abitato determinò lo spostamento
del baricentro urbano, incoraggiando la popolazione a cercare abitazioni più comode
e più vicine all’importante via di commercio (l’antica via Popilia). Il largo tra l’altura
del castello e la nuova Chiesa Madre divenne la piazza principale del paese. La
Chiesa sotto il castello fu affidata alla Confraternita del Rosario, dalla quale prese il
titolo che tutt’ora detiene. Nel 1826 il botanico Luigi Petagna, in viaggio verso la Calabria, rimase colpito dalla grande piazza di Rotonda, simile a “una deliziosa terrazza, ornata di buone botteghe, che possono servir del caffè e dè gelati, ma nche luogo di ritrovo di sciami di fanciulli inoperosi e molesti”, che l’intollerante viaggiatore consigliava di rinchiudere nell’orfanotrofio di Santa Maria della Consolazione (poco fuori dal paese). L’aumento del benessere fu dovuto anche all’abbondanza di acqua per irrigare i campi e all’introduzione di nuove colture come le patate.
FONTANE DEL FASCIO LITTORIO
Dislocate in vari punti del comune di Rotonda (piazza Vittorio Emanuele, Corso Vittorio Emanuele, Piazzetta S. Antonio, Corso Garibaldi, Via Coste, Via Mauro e Piazzetta del Rosario), le fontane del fascio littorio che risalgono al 1927, con lo stemma fascista al centro (un aquila imperiale e fascio di combattimento) richiamano alla memoria il famoso Ventennio, epoca in cui nelle case non c’era ancora l’acqua corrente. Le massaie o le loro figlie adulte, ogni sera, on il classico barile, attingevano alle fontane pubbliche l’acqua che veniva poi versata in casa nelle “gallette” (recipienti di legno a piccole doghe), in secchi di ferro zincato o in anfore di terracotta in cui l’acqua si conservava fresca. Erano le fontane uno dei ritrovi più suggestivi per le giovani coppie innamorate .
Fonti scritte : “Rotonda Nerulum”,Umberto D’Aquino, Enzo Fittipaldi, Saverio
Lauria,Ed.salentina,Galatina,Lecce,1976
Rotonda – Itinerari della pietra dell’Ecomueo del Pollino, Enzo Fittipaldi
Fonti orali: Tommaso Paonessa, Enzo Fittipaldi